Si è parlato e scritto molto in questo periodo in merito alla correlazione tra Covid-19 e gli effetti che questo avrebbe sulla fertilità maschile.
Negli USA è stata condotta una ricerca (che si allaccia ad un’altra in Cina), non ancora revisionata dalla comunità scientifica.
Secondo lo studio “il Covid-19 troverebbe un habitat favorevole nei testicoli dove si lega a particolari recettori denominati ACE-2” e agirebbe anche negativamente sulla produzione di testosterone: è come se nei testicoli, il virus trovasse il suo nido, la sua roccaforte. I recettori di cui sopra non sarebbero invece presenti nelle ovaie delle donne.
Questo spiegherebbe anche perché gli uomini muoiono più delle donne o guariscono più lentamente, dato questo vero solo all’inizio dell’emergenza. Dalle ultime statistiche infatti, le donne colpite e purtroppo decedute hanno raggiunto in numero gli uomini, almeno in Italia.
Alcuni studiosi affermano che non si possono trarre conclusioni definitive da uno studio basato su un campione così ristretto e differenze biologiche fondamentali di cui tener conto. Negli uomini poi ci sono maggiori fattori di rischio come il fumo e la pressione alta.
E’ inoltre assodato che negli uomini l’aumento della temperatura corporea derivante da qualsiasi tipo di infezione con febbre alta (vale anche per le semplici influenze stagionali) come pure l’assunzione di alcuni farmaci, può ridurre la qualità del liquido seminale: un fenomeno passeggero che dura circa 3 mesi.
Alla luce di quanto sopra, è stato inutile ribadire che non c’è evidenza scientifica del legame tra il virus e l’infertilità nell’uomo.
La notizia originaria che accennava a questo rapporto, è bastata a gettare nel panico non poche coppie e negli Stati Uniti è partita la corsa all’acquisto di kit per la crioconservazione dello sperma a domicilio. Le richieste sono aumentate fino a 10 volte stando a quello che dicono le aziende private che se ne occupano.
E’ giusto precisare che lo scongelamento degli spermatozoi ha un successo (visto come la sopravvivenza degli stessi) proporzionale alla qualità del campione conservato.
In casi di oligospermia (ridotto numero di spermatozoi nell'eiaculato) ad esempio, si avranno percentuali di sopravvivenza inferiori rispetto a campioni definiti per così dire normali.
L’argomento ha destato così tanto clamore, che anche la popolare trasmissione “Le Iene” ha deciso di occuparsene, prima intervistando la Dottoressa Aditi Shastri che insieme ad altri colleghi ha condotto la ricerca negli Stati Uniti di cui parlavamo inizialmente, poi coinvolgendo un paziente infettato in modo severo da Coronavirus. L’uomo aveva già esaminato il liquido seminale prima di contrarre il virus e ora, a seguito dell’infezione decide di ripetere il test (spermiogramma) per verificare se ci siano state o meno delle variazioni di tipo qualitativo o quantitativo.
I risultati sono stati analizzati dal Professor Carlo Foresta, endocrinologo dell’Università di Padova, che sta attualmente studiando la connessione tra fertilità e Covid-19. I valori del referto non hanno registrato alterazioni della spermatogenesi quantitativa. Anche la qualità è da ritenersi nella norma. Un’ottima notizia che può far tirare un respiro di sollievo all’uomo!
Quindi, come comportarsi in caso si contragga il virus?
La raccolta delle informazioni, analisi e studi sono in continuo divenire, quindi pur non potendo dare ad oggi delle risposte definitive alle domande dei pazienti, alcuni medici raccomandano soprattutto nei soggetti giovani e adulti che hanno contratto il Covid-19 un controllo andrologico per togliersi ogni dubbio. I risultati di tali esami potranno aiutare la scienza a trarre delle conclusioni più attendibili e delineare anche delle linee guida future per scongiurare effetti negativi sulla fertilità maschile, già fortemente minacciata da altri fattori, tra cui l’inquinamento. Ma questa è un’altra storia che approfondiremo in un capitolo a parte.
A cura di www.natamamma.com