Quando si comincia a desiderare un figlio, nella coppia, ma specialmente nella donna, si crea uno spazio completamente dedicato a custodire e nutrire quel sogno, in cui le aspettative più rosee si fanno largo, si immagina il momento in cui si scoprirà di aver concepito, il giorno in cui verrà comunicata la notizia alle rispettive famiglie. Comincia la costruzione di un legame ideale di attaccamento al bambino immaginario. I timori per i possibili rischi, almeno all’inizio, non vengono contemplati.
Cosa succede se quel bambino tanto sognato non si trasforma in bambino reale?
Le cause possono essere diverse: non si riesce ad arrivare al concepimento, si può andare incontro ad aborti involontari ricorrenti oppure, se diagnosticate patologie non compatibili con la vita, ricorrere all’aborto terapeutico.
La trama più o meno è sempre la stessa. La donna sdraiata sul lettino dello studio, accompagnata dal partner, da un familiare o sola. Il ginecologo che passa la fredda sonda sulla pancia, poi il silenzio. Una lunga pausa. Secondi che sembrano ore. E già quel freddo della sonda si trasforma in gelo che arriva fin dentro le ossa quando lo si sente pronunciare frasi come “Mi dispiace, non c’è più battito”, “Signora, purtroppo si è fermato tutto”, “C’è qualcosa che non va. Ma potete riprovarci”.
Tante parole buttate là che finiscono per ferire ulteriormente, quando basterebbe solo ascoltare più che dire.
E intanto ci si sente morire dentro, si urla la propria disperazione: c’è chi lo fa esternando tutto il proprio dolore, chi lo soffoca dentro sé quasi fino a rimanere senza fiato. Nelle lacrime ci si sente di annegare. E poi confusione, frustrazione, impotenza di fronte a qualcosa che non si può cambiare, perdita di lucidità e razionalità, uno shock emotivo senza eguali in cui si arriva a negare la realtà che ci si sta svelando. Un vuoto incolmabile che inghiotte ogni pezzo di quello che si era.
Un momento questo che si ricorderà per sempre negli anni a venire.
Come si fa ad essere emotivamente preparati a una perdita simile quando fino a pochi istanti prima ci si sentiva inebriati di felicità? Come ci si può adattare a una nuova situazione rispetto a quella di qualche minuto prima in cui si viveva in un mondo ovattato, in uno stato di grazie difficile da spiegare?
I numeri parlano di un’interruzione spontanea di gravidanza su quattro nel primo trimestre. Questa informazione viene quasi sempre comunicata dal Medico che segue la donna, come a dire “Ehi, non sei sola. Ce ne sono tante come te”. I rischi delle prime settimane sono bene o male noti un po’ a tutte, ma ciò non basta a consolare nessuna attraversi una tale tempesta. Anche se si prova a rimanere distaccate e razionali durante la prima fase della gravidanza, è innegabile il legame che si instaura fin da subito con quel bambino, o l’idea che di lui abbiamo. Il nostro corpo, la nostra mente, il nostro cuore, le emozioni provate dal momento del test in poi, non tradiscono. E’ qualcosa di intenso e intimo e quando viene spezzato, poco vale la magra consolazione di essere o meno all’inizio del percorso.
La verità è che una madre non dovrebbe mai vivere una simile perdita che, anche se avviene nelle primissime settimane di gravidanza, equivale comunque a un lutto vero e proprio e come tale necessita di essere elaborato.
Il tutto è reso ancora più drammatico dalla mancanza di empatia, dalla negazione del diritto al dolore che la società non riconosce. Dal punto di vista medico quello che per le donne è un bambino (il nostro bambino!), è solo di un ammasso di cellule.
Le coppie sono lasciate a loro stesse e le donne si rinchiudono in un pericoloso silenzio. Questa convivenza con un lutto non elaborato adeguatamente, può minare il rapporto affettivo tra i due genitori e il loro stato psicologico.
La solitudine può essere anche una condizione ricercata in quanto la donna sente di non essere compresa nel suo dolore, percepisce che quello che vive lei come un trauma, viene visto dagli altri come un evento, sì triste, ma superabile in breve, un incidente di percorso insomma. I sentimenti della donna vengono minimizzati, quasi banalizzati e molte frasi inopportune proferite senza alcuna delicatezza “Menomale eri solo all’inizio”, “Dai che almeno un figlio ce l’hai”, “Pensa a chi succede più in là con la gravidanza”.
Un figlio è una realtà indipendentemente dalla settimana di gravidanza nella quale ci si trova. Questo vale anche per l’uomo, il quale non è certo coinvolto fisicamente, ma non sarebbe neanche giusto negare il suo dolore.
La donna ha bisogno di parlare, di essere accolta e ascoltata senza sentirsi giudicata. Rivolgersi a uno specialista o ad associazioni come Ciao Lapo (https://www.ciaolapo.it/), può rivelarsi il primo importante passo verso una nuova fase in cui si prende consapevolezza di quel che è accaduto e si impara, non a dimenticare o reprimere, ma a elaborare correttamente.
Ognuna ha i suoi tempi per superare la sofferenza e ritrovare l’equilibrio prima con se stessa, poi con gli altri. Ovviamente più la gravidanza è stata cercata, più aspettative vi erano verso di essa, maggiore sarà il dolore che scaturisce qualora non vada avanti.
Alcune donne per compensare la perdita, si rimettono subito alla ricerca di una nuova gravidanza; altre pur andando avanti con la propria vita restano ancorate a un passato doloroso che riaffiora soprattutto in prossimità di date, ricorrenze che riaprono ferite mai completamente rimarginate. La data del parto, quella della scoperta del positivo, il giorno in cui tutto ha avuto fine possono portare a frequenti ricadute andando a influire anche su eventuali gravidanze future che certamente non saranno godute con la serenità che meriterebbero.
Come si sopravvive a un dolore simile? Si può soffrire così?
Si deve soffrire così! Lo si deve attraversare e respirare a pieni polmoni quel dolore per poi poterlo buttare fuori, altrimenti si rischia di vivere il resto dei giorni che verranno con quel male che pesa come un macigno e che non ci permette di respirare, finendo col soffocarci. Le emozioni, anche quelle negative, devono essere vissute in tutta la loro drammaticità. Si supera solo ciò che si attraversa.
A cura di Natamamma per Conneggs
***