Infertilità secondaria

02, Apr, 20

Infertilità secondaria: quel secondo figlio che non arriva

 

Se ci sono ancora tabù sull’infertilità e la fecondazione assistita, ancora più fatica si fa a parlare d’infertilità secondaria.

Di cosa si tratta esattamente? Se per la prima gravidanza è andato tutto liscio, questo potrebbe non verificarsi nuovamente con tanta facilità. L’infertilità secondaria si riferisce infatti alla condizione per cui la coppia, che ha già avuto uno o più figli biologici, non riesce ad avere una nuova gravidanza o a portarla a termine a causa di aborti ripetuti.

Come per l’infertilità primaria (si parla di circa il 15% delle coppie, un trend in crescita), anche in questo caso, le origini possono essere diverse: disfunzioni ormonali, problemi di ovulazione, aderenze causate da precedenti interventi (es. cesareo, raschiamento), tube ostruite (rilevabile tramite isterosalpingografia), endometriosi o fibromi uterini (l’esame più indicato in questo caso è la laparoscopia), infine, tra una gravidanza e l’altra se è passato del tempo, il problema principale potrebbe esser rappresentato dall’età.

Ricordiamoci sempre che il picco di fertilità per la donna è rappresentato dalla fascia che va dai 20 ai 30 anni. Dopo i 35 le possibilità di concepire e portare a termine una gravidanza senza incorrere in problematiche, decresce rapidamente.

Anche la fertilità maschile subisce cambiamenti nel tempo a causa di uno stile di vita non corretto, dell’età, dello stress e un’alimentazione non bilanciata. Un semplice esame come lo spermiogramma è in grado di rivelare eventuali anomalie che potrebbero compromettere in maniera permanente o temporanea la fertilità dell’uomo.

Il consiglio è sempre quello di rivolgersi ad uno specialista dopo 12 mesi (o anche prima se si è già over 35) di rapporti non protetti.

Di fronte al forte desiderio della coppia di avere un secondo figlio e al tempo che passa inesorabile senza che questo accada, la serenità e l’ottimismo iniziale cominciano a scemare. Chi ha già ricevuto il grande dono di diventare genitore, inizialmente è spinto a credere che possa riuscirci in futuro senza particolari impedimenti. La delusione potrebbe essere dietro l’angolo e bruciare più di quanto si possa pensare.

La componente psicologica ed emotiva ne risente profondamente. Infatti se in una condizione di sterilità primaria, anche con difficoltà si trova un po’ di comprensione e supporto da qualche familiare, amica o medico, quando si ha già un figlio la donna si troverà ad affrontare situazioni ancora più scomode, in cui il suo desiderio verrà sottovalutato, quasi banalizzato. E’ vietato lamentarsi! Una situazione questa che genera frustrazione, rabbia e solitudine.

Inoltre entra in gioco anche un ulteriore sentimento: il senso di colpa proprio nei confronti del figlio di cui già si è genitori perché si ha la percezione (spesso a ragione) di togliergli tempo e attenzioni per concentrarsi su altro e quindi di non essere più all’altezza di svolgere il proprio ruolo in maniera impeccabile.


 “Ma un figlio già ce l’hai, cosa cerchi?”, “Pensa a chi non può averne”, “Ritieniti fortunata”, “Perché ti ostini invece di accontentarti di quello che hai?” “Concentrati sul figlio che hai invece di rincorrere dei capricci”


 

Sono solo alcune delle frasi infelici e prive di ogni barlume di sensibilità rivolte alla “già mamma”, che certamente non aiutano ad affrontare con disinvoltura e con la giusta dose di serenità la situazione di per sé già complessa; al contrario mortificano un impulso e un’emozione del tutto naturale.

 


Ci si può o ci si deve davvero accontentare? Può essere minimizzato un sentimento e ridotto alla stregua di un capriccio?


La risposta ovviamente è negativa. Avere un figlio non esclude in modo assoluto di volerne un altro (o degli altri). L’istinto materno non si esaurisce a comando, e pur amando follemente la propria creatura, si può correre il rischio di non sentirsi comunque complete (o non sentir completata la propria immagine di famiglia) gettando la mamma, o la coppia in genere, nello sconforto.

Questo tipo di infertilità è definita secondaria, ma secondario non è il desiderio che si sente forte dentro di sé, come pure l’imbarazzo di ammettere di soffrire per quella gravidanza che non arriva magari davanti a un’amica in cerca da tempo della prima.

La verità è che quando l’istinto c’è ed emerge prepotente, è lo stesso sia quando si è alla ricerca della prima gravidanza, che della seconda. Le motivazioni potrebbero essere leggermente diverse. In quest’ultimo caso spesso ci si sente responsabili verso il primo figlio a cui si vuole dare una compagnia, un compagno per quel lungo viaggio chiamato Vita. Una sensazione difficile da spiegare, ma che esprime bene quell’amore nel non volerlo lasciare solo al mondo nel caso accada qualcosa ai genitori. Quando poi si è già madri, si conoscono belle quelle emozioni a partire dal momento in cui il test ha regalato quelle magiche due linee rosa, fino al parto, e per tutta la crescita del piccolo. Le “già mamme” sanno che ne vale la pena e lottare per dare continuità a quell’incanto è sacrosanto e legittimo e ora che l’attesa si è fatta spasmodica, amara, dolorosa e interminabile, comprendono ancor più intensamente il miracolo della vita.

Non fatevi frenare dalla mancanza di sensibilità nelle parole e gesti altrui. Nessuno è tenuto a dare la sua opinione su un tema tanto personale.

Fate quello che vi rende felici, rispettando i vostri limiti: tutte noi li impariamo a conoscere prima o poi.

Fate della vostra vita la favola che sognavate da bambine, qualunque essa sia. L’importante è sempre il lieto fine, sia che questo includa tra le sue pagine zero o dieci figli.

 

a cura di www.natamamma.com per Conneggs