Nella mia vita ho avuto un unico test positivo. Il 15 maggio del 2017. Cercavamo un bimbo da diverso tempo, ma con i frequenti spostamenti miei e di mio marito per lavoro, alla fine non ne avevamo beccate così tante di ovulazioni.
Abbiamo subito fatto le cose a modo: visita ginecologica, analisi varie, alimentazione sana e nutriente, tante passeggiate. Camminavamo sulle nuvole, eravamo giovani, senza drammi alle spalle, vivevamo all'estero ed entrambi con una carriera internazionale appagante e con un fagiolino nella mia pancia. Non ci mancava niente.
Dove vivevamo l'amniocentesi viene suggerita solo in caso di evidenze genetiche o dubbi del medico. Noi avevamo deciso che avremmo seguito tutte le indicazioni della nostra ginecologa che amavamo per la sua chiarezza e la sua pacatezza. Ci propose di fare il NIPT test, che sta per Non Invasive Prenatal Test, il test del DNA. Non affidabile come una Villocentesi o un'Amniocentesi, ma in caso di problemi eravamo in tempo per effettuarle. Lo facciamo più per scrupolo che per altro, per quanto io sia un soggetto ansioso non avevo mai immaginato che qualcosa di male potesse accadere al nostro bimbo. Intanto le analisi mensili che la ginecologa mi fa fare sono perfette, le ecografie non rilevano nulla e anche la translucenza nucale è nella norma, come la misurazione di tutti gli arti. Il nostro piccolo, che senza ombra di dubbio era un maschietto, stava bene e cresceva come da manuale.
Nel frattempo arrivano le vacanze estive e anche noi andiamo in villeggiatura. Solo che il 3 giorno di vacanza ci chiama la ginecologa dicendoci che il NIPT aveva evidenziato delle anomalie per quanto riguardava l'8 cromosoma. "Quale? il 18?" No, l'8. Mai sentito nominare. Il mondo ci crolla addosso nonostante le rassicurazioni della nostra ginecologa che continuava a dirci "il NIPT non è attendibile, state tranquilli, sicuramente è un falso positivo, c'è un errore, il vostro Andrea sta bene. Per scrupolo ti faccio fare l'amniocentesi, te l'ho già prenotata il ospedale per il 14 di agosto".
Cerchiamo ovviamente di goderci quel che rimaneva delle nostre vacanze, ma la spada di Damocle che incombeva sulle nostre teste era troppo pericolante. E il Doctor Google ci aveva già spoilerato tutto ciò a cui quella trisomia dell'8 cromosoma ci avrebbe condannati. Tutti e 3.
Io e mio marito non siamo credenti e io ho sempre sostenuto strenuamente la libertà di ogni donna di scegliere se portare avanti una gravidanza o abortire. Non mi ero mai trovata di fronte a quella decisione, ma non avevo dubbi. Mio marito eravamo d'accordo ancor prima che io rimanessi incinta: in caso di problemi avrei abortito.
Durante l'amniocentesi tutto va per il verso giusto, i medici sono accoglienti ed estremamente competenti. La ginecologa ci segue passo dopo passo. Dopo 20 giorni arriva il verdetto. Trisomia dell'8 cromosoma. Solo che nel frattempo io ero entrata nel 3 trimestre e solitamente questa sindrome porta ad un aborto spontaneo entro il 6 mese. Questo dato manda in confusione i medici che per altro non sono concordi nella diagnosi perché - e questo lo scopriremo solo a posteriori - mancava una pagina dal referto dell'amniocentesi quindi genetista, ginecologa, ecografista e ostetrica non riuscivano a capirsi.
In tutto ciò la nostra ginecologa continuava a dirci che per lei il bambino stava benissimo e cresceva alla grande, e noi le abbiamo creduto perché lei era aveva la nostra fiducia.
La ginecologa e lo staff dell'ospedale universitario a cui mi ero rivolta (uno dei migliori del Paese) avevano deciso che li avrei visti a settimane alterne, quindi di fatto ero controllata ogni settimana. Alla prima eco in ospedale viene rilevato il piede destro equino del nostro bimbo, dato che andava a confermare la trisomia. Ma la ginecologa era sicura della sua tesi e noi con lei. Il genetista che aveva effettuato l'amniocentesi chiese di vederci per informarci delle conseguenze che una trisomia simile poteva generare. Se non ci spaventavano le disabilità fisiche, ciò che ci faceva paura erano quelle cerebrali altamente probabili, oltre all'alta incidenza di tumori e leucemie mieloidi che avrebbe potuto sviluppare nell'arco della vita. Opzioni non calcolabili con certezza, ma con un'elevata probabilità di verificarsi. Senza dimenticare il piede equino, sintomo concreto della trisomia.
Decidiamo di contattare, contro il parere della ginecologa, altri genetisti. Ben 3, 2 in Italia e uno nel Paese dove vivevamo. Tutti e tre erano concordi che l'amniocentesi era stata effettuata secondo i range standard mentre andava ampliato il numero di cellule analizzate visto il risultato anomalo -per quanto poco attendibile - del NIPT. Sostanzialmente mi avevano fatto un'amniocentesi come se non fosse la conseguenza di un campanello di allarme. La mancanza della pagina nel referto dell'amnio aveva ritardato di molto il suggerimento da parte dei medici di interrompere la gravidanza poiché mancava proprio la parte in cui venivano menzionate le cellule trisomiche. Infine, il fatto che il feto fosse sopravvissuto ai primi sei mesi di gravidanza aveva indotti i medici e lo stesso genetista ad immaginare un errore in fase di amniocentesi.
Però io ero alla 29esima settimana e ogni giorno andavo in giro col mio bel bimbo in grembo che quando mangiavo il parmigiano impazziva e scalciava.
In poche ore decidiamo il da farsi. Nel Paese in cui vivevamo la gravidanza può essere interrotta oltre le 22 settimane previste dalla legge 194 in Italia. Contattiamo subito l'ospedale che ci aveva seguiti e comunichiamo la nostra decisione. Nel frattempo scrivo alla ginecologa che continua a ripeterci che il nostro bimbo è sano e sta bene, e che è abbastanza certa che l'ospedale ci avrebbe negato l'interruzione di gravidanza. Entriamo nel panico. Ma come? Sono stati loro a mettere sul piatto questa opzione, come possono rifiutarsi ora? Veniamo convocati dal primario di ostetricia e ginecologia che ci dice testualmente "questo è un ospedale cattolico universitario, ma la scelta della donna per noi sarà sempre la priorità. Soprattutto se questa scelta l'abbiamo suggerita noi. Tutto il board del reparto è a conoscenza del vostro caso, la commissione si riunirà proforma e verrete accettati senza ombra di dubbio". Quando riporto i dubbi della mia ginecologa il primario mi risponde "per questo motivo lei non lavora qui".
Era lunedì. Il mercoledì mattina alle 7 vengo ricoverata, monitorata, mi viene fatto l'epidurale e il primario viene a sedare il mio bimbo e a fermargli il cuoricino. Da lì in poi inizia il travaglio. Partorirò il giovedì alle 16.
Ci avevano sistemati in un corridoio lontano da tutte le altre mamme, non abbiamo mai sentito né un vagito né incontrato altre donne incinte. Io ho passato 3 giorni a letto, al mio fianco mio marito che non mi ha mai lasciata sola un istante. Fuori dalla mia porta le mie due cognate e mia madre, buttate su un divanetto per due notti. Le infermiere le hanno coccolate senza riuscire a scambiarsi mezza sillaba, solo carezze e sorrisi strozzati.
Il mio bimbo si chiama Andrea, per me e mio marito è Fagiolino. Era bellissimo, con gli zigomi e gli occhi come quelli di mio marito, pensatore e amante della musica (con Johnny Cash sembrava ballasse la tarantella!).
La ginecologa abbiamo scoperto poi essere un'antiabortista convinta, tanto da essersi presentata in lacrime in stanza dopo l'epidurale per urlarmi "vostro figlio è sano".
E io non ero il suo primo caso "strano". E' una di quelle ginecologhe rinomate per la sua bravura, poiché insomma: essere brave con una gravidanza normale e senza implicazioni è facile. Ma in casi difficili come il mio so che ha negato a lungo l'evidenza e altre donne si sono ritrovate a dover effettuare un'interruzione terapeutica di gravidanza tardiva.
Questa è la storia della mia unica gravidanza. Del mio unico figlio che se n'è andato via vestito da orsacchiotto bianco.
Dalle analisi del cariotipo di coppia è emersa la totale casualità del nostro dramma.
Seguite il vostro istinto, se qualcosa non vi torna consultate altri specialisti e non fatevi fermare dalla lealtà e dalla fiducia che provate per il vostro ginecologo.
E fatevi seguire da una brava psicoterapeuta.
Io ho inizialmente fatto terapia EMDR con una specialista del lutto perinatale per elaborare il trauma. Ancora dopo due anni infatti rivivevo i dolori del parto e non riuscivo a camminare quando mi prendevano.
Adesso sto facendo psicoterapia con una psicologa esperta in fertilità e adozione. Sto anche portando avanti con mio marito sedute di terapia di coppia poiché a distanza di due anni e mezzo ovviamente gli strascichi sono ancora molteplici.