La storia di Steffi

10, Nov, 19

La mia Storia: Steffi la fondatrice di Conneggs

A vent’anni si vive appieno, con passione e allo stesso tempo spensieratezza ogni tipo di relazione, dall’amicizia all’amore.

L’ultima cosa che una ragazza pensa a quell’età, è che non può (o potrà in futuro) avere dei figli; anzi, in questa fase della vita si ha il problema opposto: a ogni rapporto col proprio partner si teme di essere rimasta incinta.

Qualche tempo più tardi, quando tutti i tasselli della propria vita sembrano esser andati nel posto giusto e incastrarsi perfettamente l’un con l’altro, dall’uomo perfetto, il lavoro che ci piace, la casa pronta, ecco che il desiderio di quel figlio si fa reale. Sarebbe l’incoronazione di un’esistenza da sogno, ma la vita si svela per quello che è: ingiusta e incomprensibile. Non è affatto vero che facendo l’amore si rimane incinta con tanta facilità come hanno voluto farci credere per anni.

 


Questa è la mia storia


 

Dopo qualche anno che mi sono trasferita a Roma dalla Germania, conobbi il mio attuale marito. Avevo venticinque anni e prima di lui l’idea di avere un figlio non mi aveva mai neanche lontanamente sfiorato: forse perché non avevo ancora incontrato quello giusto.

Con lui tutti i dubbi, la reticenza e le perplessità svanirono di colpo. Da subito cominciammo a desiderare, e poco dopo cercare, un figlio.

I problemi però non tardarono a manifestarsi: il ciclo diventò irregolare fino a poi sparire del tutto. E proprio lì nacque il nostro problema. La mia amenorrea (assenza di mestruazioni).

Non ci volle molto per capire che il mio viaggio verso la maternità sarebbe stato un percorso ad ostacoli. Ero confusa, avevo tanti dubbi e domande a cui dare una risposta, ma di una cosa ero sicura: ci avrei provato in tutti i modi possibili.

 


Cosa ho provato in quei momenti


Quando non riesci a concepire quel figlio tanto desiderato, ciò che accade intorno a te perde importanza. Perché Lui è già dentro di te, nella tua anima, nel tuo cuore, ma ti manca averlo tra le braccia. E’ un’ossessione, un dolce tormento che si insinua in ogni aspetto della vita quotidiana e che non lascia spazio ad altro.

Andare in vacanza, uscire con le amiche o guardare un film: niente ha più il sapore di una volta.

Gli altri? Nessuno può capire. Mi dicevano, banalizzando il problema, “Rilassati” “Eh, per alcune coppie, proprio non deve essere”, “Fattene una ragione, forse ti conviene metterti il cuore in pace.

Questo non faceva altro che aumentare le distanze tra me e tutti coloro che pur vedendomi in difficoltà, non manifestavano un briciolo di empatia per la mia situazione, non rispettavano il mio dolore. Mi sentivo incompresa, sminuita, sola: un animale in gabbia!

Nonostante tutto non avevo alcuna intenzione di arrendermi e andai avanti per la mia strada.

 


L’inizio delle terapie


Il mio viaggio per avere un bambino iniziò con il Clomid: mi dissero che questo era il primissimo passo per tutte.

Non ne sapevo nulla, mi lasciai guidare dai medici.

Questo trattamento sembrava non funzionare e, a posteriori, ho capito anche perché: il mio endometrio era troppo sottile per permettere all’embrione di attecchire.

La Fecondazione in Vitro era l’unica strada percorribile e anche se avevo solo 30 anni, dovevo farmene una ragione, o meglio, “dovevamo”: anche mio marito doveva iniziare questo percorso di accettazione della realtà.

 


La nostra Coppia nel percorso PMA


La Procreazione Medicalmente Assistita è prima di tutti accettazione, poi una scelta, e di certo non si fa con leggerezza. Spesso si dimenticano i compagni, mariti, partner in generale. Nel nostro caso, anche per mio marito accettare questo percorso non fu cosa da poco.

Lui è sempre stato controllato, non voleva farsi coinvolgere troppo e forse per non soffrire si chiuse nel suo guscio.

Per gli uomini è come se venisse messa in discussione la propria virilità.

Superate le riserve iniziali e paure di entrambi, iniziò tutto.

 

La prima stimolazione ovarica

Ricordo la mia riposta misera ai farmaci (nonostante i miei 31 anni),  continui prelievi di sangue, la pancia gonfia, la puntura intramuscolare esattamente 36 ore prima, il pick up degli ovociti. E poi quella sensazione inebriante una volta risvegliata dall’anestesia, che ancora non mi spiego e mi fa sorridere ogni volta che ci penso.

Dopo tre giorni dalla fecondazione in vitro, il transfer degli embrioni nell’utero. 2 embrioni di qualità A.

La tortura vera in tutto questo sono state le punture di progesterone, era mio marito a farmele.

L’attesa fino al test di gravidanza fu snervante. Il tutto era ancora più difficile perché all’epoca ero ancora una fumatrice accanita e ovviamente non potevo fumare.

Il risultato? Negativo.

Riuscirci al primo tentativo sarebbe stato troppo bello.

 

La seconda stimolazione ovarica

Dopo un paio di mesi, riprovammo: un’altra stimolazione, ma con un farmaco diverso. Abbiamo prodotto come sempre pochissimi embrioni. 2 sono arrivati allo stadio di blastocisti. Abbiamo fatto la diagnosi preimpianto. Una blastocisti risultava sana. Abbiamo trasferito a fresco questa blastocisti sana e i medici ci davano tanto speranza.

Test ancora negativo e sempre la stessa sensazione di smarrimento.

Non avevo però nessuna intenzione di mollare. Riuscire a stringere tra le mie braccia il mio bambino era l’unica cosa che contava.

 

Stimolazione N° 3

Dopo le prime stimolazioni ovariche, e relativi fallimenti, iniziai con delle sedute di agopuntura, che mi accompagnarono in tutti i passi successivi.

Sarà stato un po’ per la nuova pratica un po’ per l’ulteriore cambiamento di farmaci, o forse solo per fatalità, ma alla successiva stimolazione, la terza, risposi bene. Risposi bene nonostante tutte le sigarette che fumavo.

Purtroppo però nessun embrione si è trasformato in blastocisti al quinto giorno: quindi, non si poteva fare il transfer a fresco e vi spiego perché. Volevamo fare la diagnosi preimpianto. La diagnosi impianto si può fare solo nel momento in cui gli embrioni arrivano allo stadio di blastocisti. Poi per avere i risultati ci volevano all’epoca 24 ore. Pertanto, se in sesta giornata avessimo fatto la diagnosi preimpianto, i risultati sarebbero arrivati in settima giornata. E la settima giornata dopo il pick-up (che corrisponde al momento dell’ovulazione in un ciclo naturale) è troppo tardi per trasferire gli embrioni perché l’endometrio non è più recettivo perché è passata la c.d. finestra di impianto.

Quindi, abbiamo aspettato la sesta giornata in cui si sono trasformati in blastocisti 5 embrioni, abbiamo fatto fare la diagnosi preimpianto e abbiamo fatto congelare tutte le blastocisti.

Dopo qualche settimana il risultato della diagnosi preimpianto: su cinque totali, due erano sani, altrettanti erano malati e uno non classificabile.

Dopo qualche altra settimana e tante “torture” e sedute di agopuntura per smettere di fumare (eh sì, sono riuscita…!!!) cominciai la preparazione al transfer che consisteva nell’assunzione di estrogeni per sopprimere l’ovulazione e contemporaneamente stimolare la crescita dell’endometrio (per le esperte tra di noi: Progynova e Climara)

Ultimata la fase di preparatoria, ero pronta per il transfer.

Cinque giorni dopo il transfer, passai durante le mie passeggiate giornaliere, davanti una farmacia.

Nonostante la farmacista provò a dissuadermi dall’acquisto in quanto l’unico test rimasto stava per scadere, lo presi lo stesso. Una volta a casa, il risultato: una sola linea e una seconda linea visibile solamente con tanta fantasia 😊.

Non ho detto niente a mio marito. Solo dopo 3 giorni ne ho parlato con lui. Stavamo passeggiando e abbiamo deciso di andare nella farmacia di fiducia. Il farmacista mi ha detto fai il test digitale, così ti togli ogni dubbio. Fallo domani mattina però perché le urine sono più concentrate.

Ovviamente ho fatto il test appena tornati dalla passeggiata.

Sono stati i due minuti più lunghi della mia vita. Dopo aver consumato il pavimento a forza di andare avanti e indietro, mi fermai, guardai il display: “INCINTA”. Tremavo dalla felicità

Era un sabato, all’ora di pranzo. A Roma diluviava, la città era completamente bloccata. Per avere certezza assoluta, corsi in una clinica, l’unica con il laboratorio aperto di sabato pomeriggio. Li pregai per effettuare il prelievo.

Gli esami di laboratorio confermarono che dai livelli di beta hCG ero incinta, lo ero davvero!

Il mio sogno più grande si stava realizzando, ero al settimo cielo.

Felice e impaziente

Sarà stata la positività dell’essere riuscita a rimanere incinta oppure solo fortuna, ma la gravidanza iniziò nel migliore dei modi già dalle prime settimane.

In quel periodo vivevo in uno stato di gioia perenne, non ebbi i fastidi classici della gravidanza e man mano che il tempo passava, tutto procedeva per il meglio.

Ad ottobre nacque Margherita.

Mi hanno sempre detto che quando nasce un figlio tutto cambia, la vita si rivoluziona e si moltiplicano impegni, fatiche. E’ vero, ma altrettanto vero è che la gioia è assoluta.

Una volta avuta lei, avrei potuto riposarmi un po’, prendere fiato.

E invece no, ero impaziente, volevo un altro figlio, appena possibile!

E così neanche due mesi dopo contattai la dottoressa della clinica per ricominciare. Di nuovo la preparazione farmacologica fino al transfer dell’embrione sano crioconservato. Il test fu negativo. Ci speravo, ci speri sempre.

Restava un solo embrione congelato, quello per cui non abbiamo avuto un risultato dalla biopsia genetica.

Abbiamo deciso insieme ai medici il seguente procedimento: facciamo una preparazione ormonale come se dovessimo trasferire una blastocisti. Il giorno prima del transfer scongeliamo la blastocisti, facciamo fare l’analisi preimpianto e se dovesse risultare sano, trasferiamo.

Arrivai la mattina del transfer in clinica e ancora non sapevamo se l’embrione era sano o meno. Ad un certo punto ricordo la dottoressa che sul corridoio da lontano mi ha fatto il segno con pollice in alto, per dire che l’embrione è sano: evvai!!!!

Dopo 1 settimana (sempre molto presto) feci le analisi del sangue: i valori degli ormoni della gravidanza, anche se bassi (ovvio perché era molto presto), non mentivano. Procedeva tutto alla perfezione. Ho detto a tutti che ero incinta perché mi sono detta “è andato tutto bene con la prima gravidanza, quindi anche ora andrà tutto bene…anche perché ho trasferito un embrione sano”….

La prima ecografia però evidenziò qualcosa di strano: non si riusciva a vedere il sacco vitellino.

Mi dissero che poteva essere un caso, oppure sintomo di qualcos’altro.

Volevo essere positiva, perché allarmarsi? Avevo la nausea, la mia pancia stava crescendo, tutto stava procedendo bene e in più era estate, stavo per partire per le vacanze, ero serena.

La seconda ecografia di controllo purtroppo confermò i dubbi della prima: quando mi voltai a guardare il monitor, era tutto nero. Non ci misi molto a capire: la mia camera gestazionale era vuota.

Il 14 Agosto feci il raschiamento e sentii il mondo cadermi addosso.

Non mi arresi!

 

Stimolazione Nr. 4

Nonostante quello che era successo solo un mese prima, a settembre iniziai l’iter per una nuova stimolazione: congelammo i due embrioni risultati sani e a dicembre ne trasferirono uno.

Dopo poco, forse era troppo presto, feci un prelievo del sangue: i valori dell’ormone Beta Hcg stavano crescendo, ma tre giorni dopo, l’ormone era sceso.

Avevo avuto una gravidanza biochimica: dai valori del sangue ero incinta, ma l’ecografia lo smentiva e l’embrione se n’era andato per sempre.

Fu dolorosissimo!

Le persone intorno a me non capivano e continuavano a dire: “Steffi, sono passati tre giorni e ancora stai così? Dai, basta, ormai è passato!

In nemmeno sei mesi avevo vissuto prima una camera gestazionale vuota e il raschiamento, poi questo.

Sapevo che c’erano persone che avevano provato cose ben peggiori nel loro percorso di PMA, ma non era giusto trattarmi con sufficienza, come se bastasse schiacciare un bottone per smettere di pensarci.

A marzo feci un altro transfer: esito negativo.

 

Stimolazione Nr. 5

Un mese dopo, un’altra stimolazione, ma entrambi gli embrioni erano malati, quindi non fu possibile trasferirli.

Come era possibile? Avevo 34 anni all’epoca. Anche i medici non si spiegavano tutte quelle difficoltà per l’età che avevo. Mio marito aveva sempre il 4% di spermatozoi “buoni”. Non è tantissimo, ma con quei numeri si può concepire tranquillamente anche in modo naturale. Quindi non poteva nemmeno essere per il fattore maschile.

 

Stimolazione Nr. 6

Ad agosto iniziai una nuova cura ormonale per procedere con un’altra stimolazione: andò benissimo, non avevo mai prodotto un numero così alto di ovociti!

Ma in sede di pick up il risultato fu deludente: dei 15 ovociti prodotti nella stimolazione, riuscirono a prelevarne solo uno. Perché? Perché non ho risposto al farmaco che doveva innescare il rilascio degli ovociti da parte dell’ovaio.

Fu però fecondato e raggiunse lo stadio di blastocisti in settima giornata, con due giorni di ritardo.

Di nuovo diagnosi preimpianto: il risultato fu embrione mosaico.

Praticamente alcuni cromosomi erani sani e altri malati. Su consiglio dei medici scegliemmo di non trasferire.

 

Volevo provarci ancora, anche se i medici me l’hanno sconsigliato. Doveva essere l’ultima.

 

Stimolazione Nr. 7 

Cambiai strategia: scelsi una stimolazione più leggera per assumere meno farmaci (da qualche parte ho letto che con dosaggi minori si producono meno embrioni però di qualità superiore).. Inoltre volevo fare il transfer degli embrioni in terza giornata, senza analisi genetiche e senza tenerli troppo tempo in laboratorio.

Fu così che trasferimmo due embrioni, entrambi di qualità A da un punto di morfologico; uno congelato allo stadio di blastocisti.

Ma anche quella volta, il test di gravidanza negativo.

Qualche giorno dopo venni a sapere che l’ultimo embrione, quello congelato, era malato.

Era ora di dire basta, ma non perché volevo, ma perché dovevo.. I medici mi hanno detto che non potevo fare altri tentativi. E mio marito non voleva adottare un figlio perché non voleva uno naturale e uno adottivo. Si potevano creare delle situazioni non belle in futuro.

Non avrei avuto altri figli. Fine dei giochi. Era il 16 novembre 2016.

 


Quando la vita ti sorprende…Positivamente


Si dice che la speranza sia l’ultima a morire.

Io l’avevo proprio esaurita, quella speranza, decisi che non avrei avuto altri figli, ero sfinita.

Una settimana dopo, invece, accadde una cosa inaspettata: notai del muco da ovulazione. Erano dieci anni che non mi succedeva, da quando avevo smesso di avere il ciclo.

Di mia iniziativa corsi in laboratorio per fare dei test dai quali capire i livelli di estrogeni, i quali inducono il picco di LH al quale segue l’ovulazione: erano altissimi.

Un’ecografia confermò la presenza di un bell’ovocita pronto per essere fecondato!

Facevamo una bella puntura per innescare l’ovulazione, facevamo i compiti e dopo le punture di progesterone.

Passarono i giorni…

Cominciai ad avere una sensazione di nausea continua, tipica della gravidanza. E avevo un sapore metallico in bocca (ce l’avevo sempre, anche le volte precedenti quando sono rimasta incinta)

Ero scettica, ma decisi di andare a fare le analisi del sangue il giorno dopo.

Una volta fatto il test, ero impaziente come non mai mentre aspettavo davanti al pc l’arrivo del referto.

Arrivò! E indicava un valore che probabilmente per qualsiasi altra donna sarebbe stato basso, ma invece per me significava tutto il contrario! Beta 5!

Ero veramente rimasta incinta?

Le analisi non mentivano, eppure stentavo ancora a crederci.

Dopo tutti i tentativi e le stimolazioni andate male sono rimasta incinta naturalmente?

È proprio vero che la vita ti sorprende quando non ci speri più.

 


Epilogo felice


 

Ero rimasta incinta naturalmente.

Mi ci è voluto un po’ per superare lo shock, sì perché anche le notizie belle possono essere scioccanti.

Anche se tutto stava procedendo bene, ero terrorizzata dal pensiero di avere un altro aborto. Ogni volta che facevo un prelievo per vedere se i valori crescevano, l’ansia mi assaliva.

Internet non aiutava. Continuavo a cercare informazioni su sintomi, sulle gravidanze extrauterine. Alcune perdite da impianto (mai avuto nelle gravidanze precedenti) scambiate per una minaccia di aborto, hanno fatto sì che l’ansia mi accompagnasse fino al terzo mese.

Inoltre, dopo aver eseguito un esame di diagnosi prenatale non invasivo (il famoso Prenatal Safe), la clinica sbagliò l’indirizzo email a cui inviare i risultati. Passavano i giorni senza ricevere l’esito e pensai che qualcosa fosse andato storto. Per fortuna, non fu così.

Il referto arrivò, e andava tutto bene: rilessi quel foglio 10 volte. Andava tutto bene: me ne dovevo convincere!

In quell’occasione scoprì che avrei avuto un maschietto.

E è nato Tommaso.

 

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Questa è un po’ la storia del mio viaggio per diventare mamma, che fortunatamente si è concluso nel modo migliore, regalandomi due splendidi bambini.

Il percorso di PMA è diverso per ogni donna: per alcune è più lineare mentre per altre, complicato.

Se il desiderio è grande, come lo è stato per me, vale sempre la pena provarci, nonostante le difficoltà.

Ci tenevo a condividere la mia esperienza, ad espormi in prima persona. Volevo raccontare le difficoltà di cui nessuno parla, che sono comuni a tutte, ma allo stesso tempo mandare un 

mandare un messaggio positivo, di speranza e determinazione.

 

THINK POSITIVE ALWAYS!!!!!

 

Steffi Pohlig per Conneggs Journal