L'endometriosi: la minaccia fantasma alla fertilità femminile

02, May, 20

L’endometriosi: la minaccia fantasma alla fertilità femminile.

 

L’endometriosi, questa sconosciuta. 

Eppure, ogni giorno questa parola riecheggia minacciosa nella vita di moltissime giovani donne. Questo termine, entrato prepotente nell’universo ginecologico e nella cultura popolare, identifica una condizione cronica ma benigna, caratterizzata dalla presenza di tessuto endometriale all’esterno della cavità uterina, dove fisiologicamente resta confinato. Essendo del tutto affine a quello normalmente presente nell’utero, risponde ai medesimi stimoli ormonali che regolano il flusso mestruale, provocando uno stato d’infiammazione cronica che si perpetua ciclicamente. 

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’endometriosi colpisce più di 150 milioni di donne in tutto il mondo di cui 3 milioni solo in Italia, con una prevalenza di circa il 10-15% nelle donne in età riproduttiva.

La sintomatologia varia a seconda del grado di infiltrazione e della localizzazione dei cosiddetti “focolai”. Sebbene in circa un terzo dei casi può decorrere del tutto asintomatica, l’endometriosi causa quadri clinici dominati dal dolore pelvico e dall’infertilità. Sono proprio questi i motivi che più frequentemente spingono le donne a consultare il proprio ginecologo, con una gravità variabile dal solo ciclo mestruale abbondante e doloroso (dismenorrea) fino a invalidanti quadri di dolore pelvico cronico e generalizzato che pregiudicano la qualità della vita quotidiana non solo durante il ciclo, ma anche durante i rapporti sessuali (dispareunia), minzione e defecazione. Data la poca specificità dei sintomi, soprattutto nei casi più lievi, la donna si rivolge dopo mesi o anni dall’inizio della sintomatologia al proprio curante, periodo nel quale la condizione prosegue e si estende, rendendo più difficile il suo trattamento. 

La diagnosi si basa su una accurata raccolta anamnestica della storia ginecologica recente, mirata a valutare la sede, l’intensità, la durata e il rapporto del dolore con il ciclo mestruale, dall’esame obiettivo ginecologico volto a valutare il dolore evocato nei vari compartimenti vaginali, e dall’ecografia pelvica transvaginale. Questo esame, che potremmo definire “dinamico” dal momento che permette di indagare l’apparato ginecologico guidati in tempo reale dalla sintomatologia dolorosa della donna, rappresenta una essenziale indagine strumentale che permette la diagnosi (o quantomeno il forte sospetto) in molti casi, soprattutto se eseguita da specialisti in questo campo. La diagnosi definitiva resta quella istologica, ovvero l’analisi microscopica dei tessuti asportati a seguito di intervento chirurgico.

Come se tutto ciò non bastasse, questa condizione è correlata ad una elevata percentuale di casi di infertilità femminile. Per infertilità si intende l’incapacità di una coppia ad ottenere un concepimento dopo 12 mesi di tentativi mirati. L’endometriosi rappresenta la causa di circa il 20% dei casi di infertilità, e circa il 40% delle donne con endometriosi risulta essere infertile. I meccanismi con i quali l’endometriosi riduce la fertilità non sono ancora del tutto chiari: è possibile che la localizzazione a livello ovarico delle lesioni (denominate “endometriomi”), che rappresenta la sede più frequente, possa provocare una ridotta funzionalità dei follicoli ovarici e che la presenza dei focolai endometriosici disseminati, con la risposta infiammatoria che ne deriva, possa rendere l’ambiente uterino ostico all’eventuale impianto di un embrione. 

Alla luce degli ingenti rischi correlati all’endometriosi, è fondamentale un corretto inquadramento diagnostico e la scelta di una terapia mirata e personalizzata per l’età e le esigenze della donna. Sono infatti disponibili terapie farmacologiche ormonali che impediscono il regolare ciclo ovulatorio e mestruale, interferendo con la progressione della malattia e riducendone i sintomi fino all’azzeramento in molti casi. Purtroppo, tali soluzioni non sono compatibili con una gravidanza. Nelle donne che desiderano avere un figlio, i trattamenti possono prevedere la resezione chirurgica preventiva delle lesioni (perlopiù eseguita in laparoscopia, a seconda delle localizzazioni) e, dopo aver verificato attentamente la condizione della donna e la sua effettiva impossibilità ad ottenere un concepimento naturale, si può ricorrere a tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA).

Gli approcci di PMA disponibili si distinguono in tecniche di I livello come l’inseminazione intrauterina (IUI), o più frequentemente tecniche di II livello come la fecondazione in vitro con trasferimento dell'embrione (FIVET) e l’iniezione intracitoplasmatica di spermatozoi (ICSI).

In breve, la IUI consiste nell’inserimento diretto in utero di spermatozoi prelevati, analizzati e selezionati: questa tecnica rappresenta un tentativo iniziale, soprattutto nei casi di endometriosi di grado lieve. La FIVET, invece, consiste nella fecondazione dell’ovocita con lo spermatozoo all’esterno dell’utero (in vitro) favorendo lo spontaneo incontro con gli ovociti precedentemente prelevati; e infine la ICSI, tecnica principalmente utilizzata nei centri di PMA di II livello per aumentare il successo della fecondazione, che consiste nella selezione di uno spermatozoo che viene iniettato direttamente dall’embriologo all’interno del citoplasma dell’ovocita. 

Tutte queste tecniche prevedono dei protocolli farmacologici di induzione della crescita dei follicoli ovocitari e dell’ovulazione. La stimolazione ovarica è sicura, controllata e finalizzata a far produrre alla paziente quanti più ovociti possibili, prelevarli, fecondarli, e avere più embrioni evolutivi adatti al successivo trasferimento nell’utero della paziente (embryo-transfer). Le tecniche di II livello prevedono, quindi, il prelievo degli ovociti dopo stimolazione ormonale, qualora la riserva ovarica sia adeguata. Nei casi in cui la riserva ovarica sia compromessa dalla patologia o depauperata per l’età, può essere necessario ricorrere alla donazione degli ovociti (fecondazione eterologa).

Fortunatamente, oggi sono disponibili programmi per la preservazione della fertilità femminile a cui le donne con diagnosi di endometriosi vengono indirizzate in giovane età, il cosiddetto “social freezing”. Tale procedimento consiste nel prelievo, vitrificazione e conservazione degli ovociti per essere utilizzati in un secondo momento in caso di impossibilità a concepire. Questo sistema garantisce una qualità ovocitaria elevata (data la giovane età) e la possibilità di avere gravidanze con i propri ovociti. 

In caso di gravidanza, generalmente la sintomatologia dolorosa caratteristica di questa patologia si riduce, ma le lesioni preesistenti correlate, purtroppo, restano. Sfortunatamente la gravidanza non può rappresentare la soluzione definitiva al problema endometriosi, dal momento che nella quasi totalità dei casi la sintomatologia si ripresenta nel corso dei mesi successivi al parto con la ripresa dei normali cicli mestruali. L’allattamento gioca un ruolo fondamentale: tra i vari inequivocabili benefici sulla madre e sul neonato, allattare significa produrre prolattina, un ormone che tra le varie attività inibisce l’attività ovarica e quindi la produzione degli ormoni responsabili della crescita e dello sviluppo del tessuto endometriosico, con conseguente arresto della progressione e riduzione o assenza della sintomatologia. Alla ripresa dei cicli mestruali, tra una gravidanza e la possibile successiva, la terapia farmacologica ormonale è necessaria per il controllo della progressione della malattia, con controlli ginecologici accurati e ravvicinati.

Ricorda: sebbene l’endometriosi rappresenti una minaccia sempre crescente alla salute fisica, mentale e riproduttiva della donna, oggi il suo trattamento è possibile nelle mani sicure di embriologi e personale medico ginecologico esperto, pronti a proporre la terapia personalizzata su misura per ogni donna.

 “Nessuno si salva da solo” (M. Mazzantini) 

 

Articolo a cura di: 

Livia Pellegrini, biologa embriologa presso Gynepro Medical Center, Bologna e rappresentante SIERR (Società Italiana Embriologia, Riproduzione e Ricerca) per l’Emilia-Romagna;

Dott. Silvio Tartaglia, ginecologo in formazione specialistica presso l’Ospedale San Pietro Fatebenefratelli (Roma);

Dott. Filippo Perniola, specialista in ginecologia e ostetricia, dirigente medico presso l’Ospedale San Pietro Fatebenefratelli (Roma).