Le donne combattono da anni per avere un’uguaglianza di genere, una parità tra i sessi per la quale gli individui ricevono gli stessi trattamenti in termini di diritti, politiche del lavoro e per affermare un ruolo nella società che non sia quello che per secoli era essenzialmente confinato entro le mura domestiche. Manifestazioni in piazza, iniziative di ogni tipo volte a una rivoluzione sociale, a rivendicare l’uguaglianza fino, a volte, a esasperarne alcuni aspetti.
Poi arriva il giorno in cui in una coppia si insinua il desiderio di dare una forma concreta a quella unione e una continuità alle proprie radici: si decide di generare una nuova vita, che però tarda ad arrivare.
Si possono fare tutte le battaglie di questo mondo per predicare l’uguaglianza, carichi di responsabilità divisi equamente e via discorrendo, ma questo è il momento in cui la realtà si fa evidente palesando tutte le differenze tra il genere femminile e quello maschile, differenti in primis dal punto di vista biologico/cromosomico, fisico.
Va da sé che nel momento in cui si intraprende un percorso di procreazione medicalmente assistita, non c’è paragone tra il peso che deve sopportare sulle spalle la donna con le decine di visite invasive, terapie ormonali che destabilizzano fisico e psiche, rinunce sul piano lavorativo e sociale e quello dell’uomo al quale spetta un esame o poco più.
Nei casi più delicati si può andare incontro a piccoli interventi per correggere alcune condizioni come il varicocele o si può essere sottoposti a tecniche di microchirurgia come la procedura definita Micro TESE atta al recupero degli spermatozoi che permettono di rispondere a particolari problemi di infertilità maschile.
Il coinvolgimento dell’uomo, almeno dal punto di vista fisico, per forza di cose non può corrispondere esattamente a quello della donna. Che ci piaccia o no, sia un problema di natura femminile o maschile, sarà sempre la donna a doversi far carico delle pressioni, del carico emotivo e fisico più gravoso. Tuttavia l’uomo può essere vicino alla partner in altri modi, con la sua presenza durante le visite di routine, gestendo la parte burocratica/amministrativa del percorso, interagendo con i medici (perché ammettiamolo: spesso tra le mille cose da incastrare, si arriva al colloquio con lo Specialista di turno non proprio lucide al punto di comprendere quello che ci viene comunicato).
Questo è quello che dovrebbe accadere in un mondo ideale che ben sappiamo non esiste (in un mondo ideale non dovrebbero neanche esistere le parole sterilità/infertilità).
Sappiamo che nella realtà non sempre si trova quella spalla a cui aggrapparsi per non sprofondare, che talvolta ci si sente sole e non più in una coppia. Ancora una volta, l’ultimo sforzo lo deve fare la donna, coinvolgendo il futuro papà.
Se l’uomo non viene reso partecipe, si rischia di collocarlo ai margini degli eventi che si susseguono a ritmo forsennato a fare da spettatore. E’ lì in una condizione di impotenza che lo fa sentire quasi inutile, ma non dimentichiamolo: anche lui, per quanto possa sembra a volte distante, è presente col suo desiderio di paternità importante come è il nostro desiderio. Alcuni maturano la voglia di avere un bambino addirittura prima delle donne (molto dipende dal vissuto con la famiglia di origine); altri lo percepiscono strada facendo un pò trascinati da mogli/compagne; per altri arriva solo una volta in cui stringono per la prima volta il bebè tra le braccia.
Magari non tutti sono così bravi a comunicarlo. Le donne sono più propense a far esplodere le loro emozioni, a esternarle e quando non lo fanno ne soffrono in modo evidente. Loro sono concentrate sul sentire fisicamente quel vuoto, la mancanza di una vita da nutrire e crescere, mentre gli uomini tendenzialmente si ritraggono, tendono a sopprimere, negare ogni emozione e sfogano le loro frustrazioni in attività extra familiari.
Non c’è un modo giusto o sbagliato di reagire di fronte alle avversità della vita. La cosa più importante è che nelle differenze che si fanno evidenti in momenti così delicati, ci si prenda per mano per percorrere insieme la strada fatta di ostacoli e quando il peso da sopportare sarà troppo per colei che sorregge sulle proprie spalle, e da fin troppo tempo, tutte le fatiche di un viaggio impervio, allora Lui sarà pronto a sorreggerla per poter continuare insieme verso la meta. E ammettiamolo, vale la pena fare il “lavoro sporco” se poi si viene ripagate portando in grembo un figlio: questo è il dono che gli uomini non potranno mai sperimentare. E’ questa la rivincita di una donna per i suoi innumerevoli sacrifici: l’immenso privilegio di essere portatrice di vita.
A cura di Natamamma per Conneggs
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