Avete presente il cartone della Pixar “Up”? Carl e Ellie si conoscono da bambini e quel forte sentimento viene custodito e alimentato negli anni. Il tempo scorre, i due ormai adulti sigillano il loro amore con le promesse del matrimonio e un giorno felice come tanti si ritrovano stesi su un prato a osservare il cielo. In quelle soffici nuvole cominciano a intravedere le morbide forme di tanti bebè. Capiscono che è quello che vogliono, sono entusiasti e iniziano a fantasticare sul futuro: preparano la camera per il piccolo che verrà, sono all’apice della felicità.
L’immagine successiva lascia poco spazio all’immaginazione: è quella che molte donne hanno vissuto sulla propria pelle. Una spietata diagnosi al cospetto di un medico, lei disperata in un pianto inconsolabile, lui le sta vicino fingendosi forte.
Si convincono che potranno essere felici anche senza un figlio. Hanno altri progetti, sognano di viaggiare lontano. La vita non sarà tanto indulgente e li metterà continuamente di fronte a imprevisti e saranno costretti a rimandare i loro piani. Finché un giorno si svegliano già anziani, senza aver potuto concretizzare i loro sogni.
Nel vedere queste scene si percepisce una stretta al cuore. Soprattutto se si è alla ricerca di un figlio è facile immedesimarsi e chiedersi
E’ davvero possibile essere felici senza un bambino?
Non è algebra, non è matematica. Non c’è una risposta esatta, universale. Sappiamo che per alcuni la genitorialità non è una condizione necessaria, ma c’è un’altra parte di individui, uomini e donne, che vedono la loro realizzazione, il senso della loro esistenza passare anche per la maternità/paternità. Difficile descrivere quel desiderio. Arriva come uno tsunami. Non sai dire quando, quanto durerà, perché proprio in quel momento esatto. Arriva e basta. E stravolge tutto!
Oggi fortunatamente, rispetto al passato non c’è più quell’immagine della donna legata forzatamente a quella di madre. Anche se alcune pressioni sociali sono comunque presenti, le donne ora si sentono più libere di scegliere se procreare. Non è più un’imposizione quanto un desiderio quindi, nel momento in cui non si realizza, è ancor più doloroso. Tra il non volere essere madre e il non poter essere madre c’è differenza.
Nell’impossibilità di concepire naturalmente (e quando questo diventa improbabile anche con l’aiuto della scienza), si possono valutare due principali alternative come l’adozione o vivere senza figli. Entrambi i casi implicano un lavoro di accettazione della condizione se non si vuole incorrere in una profonda crisi della coppia che può portare anche alla rottura.
Una valutazione che si deve fare è proprio questa: ora che si è accantonata l’idea di avere un figlio col proprio partner, cosa ci lega a lui?
E’ questo il punto: inconsapevolmente a volte gli individui finiscono per stare o restare insieme in virtù di una famiglia che si deve ancora creare anche se l’amore è scemato da un po’. Ora restare insieme presuppone solo una cosa: amore.
E’ importante partire da ciò che si ha e cominciare ad attribuire il giusto valore: amici, progetti, hobby e la stessa relazione col partner. Ci si potrebbe riscoprire piacevolmente sorpresi da quanto ricca è già la nostra vita o quante cose si possono ancora conquistare a prescindere dalla maternità. Inoltre confrontarsi, aprirsi con altre persone può mostrare un nuovo punto di vista. Non siamo soli: tutti hanno dovuto affrontare nella vita avversità dolorose di cui magari non eravamo a conoscenza (si pensi a lutti, malattie ecc..) e nonostante tutto la vita è andata avanti e altri risultati sono stati raggiunti.
Se non si accetta la realtà e quindi l’impossibilità di avere dei figli, ci si può facilmente lasciar sopraffare dalla disperazione. Ci si dimentica di volersi bene, di curarsi anche dal punto fisico (perché diciamolo: l’idea di non potersi prendere cura di qualcuno, conduce alla distorta opinione che non è necessario prendersi cura neanche di se stesse. Tanto a chi importerebbe?) e questo porta a ulteriore frustrazione.
L’accettazione è un processo: si parte da un’iniziale negazione, per passare alla disperazione, depressione fino al senso di colpa e rabbia. Subentra l’ansia e spesso le donne tendono a somatizzare il dolore. Questo si manifesta attraverso disturbi del sonno, dell’alimentazione, malessere generale.
Per affrontare e superare questo cruciale momento della vita, ognuno può ricorrere al metodo più congeniale alla propria persona. C’è chi si rivolge alla psicoterapia, chi cerca conforto in gruppi religiosi o si sostegno. I più fortunati trovano aiuto tra amici e all’interno della famiglia.
Anche se inizialmente può far male vedere donne in dolce attesa e bambini che sembrano circondarci in ogni dove, arriverà il momento in cui occuparsi dei nipotini, figli di amici può rivelarsi una grande ricchezza. I bambini d’altronde sono una fonte inesauribile di buon umore che allontana dalla depressione, un’iniezione di pura energia.
Non dimentichiamoci inoltre che ci sono tantissimi bambini bisognosi che hanno bisogno di amore e altri tipi di supporto. Donare amore, fare del bene, può soltanto scaturire altro bene. Una catena di buone azioni dalla quale ci si sente gratificati e rigenerati.
Insomma, arrivati ad un certo punto si deve decidere che strada prendere: quella dell’amore o dell’autodistruzione. Sta alla singola persona (e alla coppia) scegliere se e come rialzarsi da un dolore immenso, ma ognuno può farcela perché è quando ci si trova di fronte alla più grande debolezza che ci si rende conto della forza che si ha.
A cura di Natamamma per Conneggs
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