Nonostante le difficoltà che si possono incontrare nel concepire un figlio, in un primo momento l’ottimismo sembra non abbandonarci. Si immagina che nel giro di qualche mese, la situazione volgerà a nostro favore. Ma quei mesi, spesse volte, si trasformano in anni; altre, in “mai”.
Uno degli atteggiamenti più diffusi nelle coppie che riscontrano problemi nell’instaurare una gravidanza (o portarne a termine una), è quello dell’isolamento.
Accade per vari motivi: scongiurare domande scomode da parte di amici e conoscenti o evitare di entrare in contatto con famiglie all’apice della gioia con neonati in fasce, la quale vista può sì, generare tenerezza, ma anche tanto dolore a coloro che quei bambini non riescono ad averli.
Si aggiunge poi una crisi della propria identità nella persona che affronta l’infertilità. E quando non si è più se stessi, quelli che si era prima di una brutta diagnosi, è anche complesso trovarsi a proprio agio con le persone di sempre. Alla base di tutto c’è uno stato di tristezza mista a depressione che in ogni caso non agevola la partecipazione alla vita sociale.
Ci si allontana da amici e a volte addirittura dai propri familiari. All’origine c’è anche una ragione pratica. Già nella vita di tutti i giorni, si fa fatica a stare dietro a lavoro, amici, famiglia, interessi personali. La giornata dovrebbe essere di 48 ore. E ancor più lunga dovrebbe essere durante il perseguimento di una gravidanza quando il tempo, le risorse economiche e mentali da destinare alla “causa” sono così imponenti che solo dei bravi acrobati, degli equilibristi riescono a restare in piedi.
Si fanno rinunce su vari fronti. Si mette la propria vita in pausa, in stand-by. Vacanze, cene fuori, gite anche di un solo weekend o lo shopping: ora tutto questo può, e deve, aspettare.
Soprattutto chi ha già in corso un programma di Procreazione Medicalmente Assistita, ha le giornate scandite da assunzioni di farmaci, controlli medici, iniezioni da effettuare in determinati orari. Ci sono poi le incognite: “Avrò effetti collaterali? Mi cambieranno terapia all’improvviso? Dovrò andare dal medico per altre prescrizioni? Quando avverrà il pick up? E quando mi chiameranno per il transfer?”.
In tale condizione, è altamente improbabile che si riesca a mantenere la mente sgombra e la serenità per affrontare qualsiasi altra attività.
Ogni donna ha una propria soglia di tolleranza agli eventi, quindi, compatibilmente con essa, senza forzarsi troppo, sarebbe giusto che si uscisse da questo circolo e si ricominciasse a prendere in mano le redini della propria vita. Pigiare il tasto PLAY insomma.
Questo vuol dire che mentre si cerca di realizzare il sogno di avere un bambino, si può, nel frattempo avere una vita da vivere perché i vuoti di cui ci si circonda nel frattempo, non saranno facilmente colmabili in futuro, con o senza bimbo in braccio.
La cosa che aiuterebbe di più nell’andare avanti a testa alta e in modo equilibrato sarebbe quella di parlare alle persone più care così da non vivere nella costante segretezza le proprie giornate. In tal modo non ci si sentirà più trattenute dal prender appuntamento con un’amica col rischio di doverlo disdire all’ultimo momento perché è stato fissato un controllo medico: se dovesse accadere, lei capirebbe (almeno si spera) e noi ci sentiremmo meno in colpa.
E magari quella gira fuori porta, organizziamola comunque. Se poi si dovrà annullare perché hanno programmato il pick up proprio in quei giorni, pazienza!
Pensare o fare altro è difficilissimo, chi ci è passato lo sa. Per gli uomini è un tantino più facile: non perché non ne soffrano, ma perché hanno un modo diverso di fronteggiare le avversità. Magari si buttano sul lavoro, o si sfogano in una partita di calcetto con gli amici.
Per la donna invece si crea un circolo vizioso che ruota tutto intorno al ciclo mestruale: si alternano momenti di euforia, ebrezza, con l’avvicinarsi dell’ovulazione, di sconforto con l’arrivo delle mestruazioni. Tutto il resto rimane cristallizzato: tutti gli interessi, passioni, affetti, diventano uno sbiadito ricordo. In alcuni casi, nella donna che continua a biasimarsi per i continui negativi, scatta, più o meno volontariamente, una sorta di autopunizione attraverso lo sciopero di tutte quelle attività che potrebbero produrre piacere.
Il pensiero dominante nella propria vita è solo il desiderio per quel figlio che non arriva e alcune donne sembrano rimanerne schiacciate soprattutto con l’accumularsi delle delusioni mese dopo mese. Il dolore diventa un’ancora che immobilizza. Non lasciate che questo vi trascini sul fondo. Salpare quell’ancora è l’unico modo per riprendere a navigare verso una realtà più autentica, e la traversata nonostante le tempeste che possono sorprenderci, può rivelarsi meno spaventosa.
Articolo redatto per Conneggs da www.natamamma.com